31/07/17

La torta - Racconti stravaganti per Tomaso

di Cristina Taliento

"Quest'estate l'idea era quella di scrivere un romanzo", ma mentre scriveva questa frase finì la penna. Era una penna in cartone, molto particolare e lei era andata in cucina in cerca di un'altra penna, aveva guardato nel cassetto dove c'erano la guida telefonica e i foglietti di carta, ma non aveva trovato nulla. Mentre continuava a cercare, si diceva che, come incipit, quello non era poi questo granché e bisognava cambiarlo. Le toccò andare fino al negozio vicino alla scuola elementare per comprare un mucchio di penne. La commessa le aveva messe in un sacchetto di plastica. Non ce ne sarebbe stato bisogno, poteva anche tenerle in mano senza troppe storie perché le Storie, in fondo, non c'erano, non c'erano mai state e quelle penne facevano bene a starsene in un sacchetto come qualsiasi altra cosa acquistata, un oggetto come un altro, mica un attrezzo per creare, da vivere, soltanto inchiostro, pennello senz'arte.
Così, tornata a casa, buttò le penne sul tavolo. Un tavolo di mogano perfetto per storie con un certo carico di dramma. Ma le Storie, come dicevo, non c'erano, non c'erano mai state... Dunque, si alzò, mise della cannella nel thè appena fatto, mentre il tramonto pitturava d'arancio l'oleandro e nell'aria si sentivano canti di messa. Cantavano: "Resta con noi, Signore. Resta con noi, Pietà". Era domenica. Lì vicino c'era una chiesa.
Il thè era troppo caldo, le rondini erano ferme sulle antenne delle case, l'unica cosa a cui pensava era cogliere l'estate, come l'attimo del mondo, per mettere su carta quella farfalla verde azzurrina con cui ella raffigurava da sempre il suo blues, il suo narrare variopinto. Quell'estate poteva essere l'estate giusta. Abbastanza ventilata, non molto calda e lei aveva spesso il cuore in gola. Durante l'anno aveva incontrato tante persone e alcune di loro le avevano chiesto di scrivere. Non ci aveva mai sperato. Anche quella volta, quella domenica, ci credeva poco, la sua strada era un'altra. Voleva più che altro studiare per diventare Astronauta.
Allora chiamò i suoi amici per vedere se avessero la voglia di andare al mare. Le risposero che non sapevano, una era incinta, un altro aveva un gatto di nome Lucio, morto da due giorni di leishmaniosi. Ella non si era mai effettivamente soffermata sul fatto che la leishmaniosi potesse arrivare a provocare conseguenze così estreme. Disse che le dispiaceva. L'amico rispose, non preoccuparti, però al mare vacci te. No, non disse proprio così, ma a lei parve di sentirlo. Ad ogni modo prese la macchina e lei non guidava quasi mai, anche se aveva la patente e tutte le carte in regola. Guidò fino all'ultima spiaggia del litorale che poi non era che il punto più lontano che fosse in grado di raggiungere, siccome teoricamente l'ultima spiaggia non esiste. La campagna si rabbuiava e comparivano le stelle. Spesso gli scrittori di ogni genere andavano in riva al mare a cercare le loro storie, ma secondo lei tra mare e montagna non c'era differenza, contava invece molto che razza di talento fossi o non fossi. Infatti, all'inizio il mare di notte servì soltanto a metterle la paura che, da un momento all'altro, potesse comparire un bandito d'altri tempi così dal nulla chiedendole cibo e silenzio. I giunchi sussurravano le solite storie che non c'erano, non c'erano mai state e lei le ascoltò tutte. Aveva portato con sé, in un barattolo di vetro, un pezzo di torta con fichi, mandorle e miele. Aveva trovato la ricetta su un blog tedesco. La mangiò al buio con la schiena appoggiata allo sportello della macchina, tra la paura d'esser rapita e l'odore del mare. In un momento respirò  l'idea di aver creato, all'interno delle sue paure, uno spazio confortevole, buono anche per scrivere, ma, che diavolo, di quel mucchio di penne, ricordò di averne portata manco una.
Così salì in macchina senza l'intenzione di mettere in moto, accese la radio, stavano facendo un sondaggio su quale fosse il miglior regalo da fare per un diciottesimo compleanno. Chiamò il numero. Aveva intenzione di dire: "Un cappello". Tuttavia, le linee erano tutte occupate.

27/07/17

Andy Chaser - Ritratti di persone

di Cristina Taliento

L'immagine può contenere: spazio all'aperto

(Claude Monet, Impressione, alba, 1873)

Andy Chaser è questo ragazzo un po' paranoico sulla ventina, uno dei tanti, come ce ne sono a bizzeffe sparsi per l'Italia, tra Nord e Sud, magri, per niente abbronzati, introversi, mangiatori di schifezze e senza un particolare programma nella vita. Andy Chaser io non lo so perché abbia deciso di chiamarsi così su Instagram, invece di Andrea l'Inseguitore, per esempio. Lo scopo del suo account è raccogliere foto di tempeste, nuvole terribili e piogge di saette e, a dirla tutta,  il nome inglese lo descrive meglio, si abbina con i calzoncini corti e le All Star Converse e con quei quattro peli biondi a mo' di barba che altrimenti  stonerebbero su un  solenne 'Inseguitore'.
Andy è così, anzi a dire il vero non ne ho la più pallida idea di come sia. Diciamo che sono una dei suoi pochi followers e ne ho fatto, a sua insaputa, un personaggio. Io me lo immagino sempre inforcare la bicicletta alla prima goccia di pioggia con degli occhialini da piscina sopra uno sguardo allertato, per poi pedalare a più non posso con le infradito verso la campagna sconfinata e deserta, schivando qua e là, con uno slalom mortale, le lattine vuote che l'uragano gli lancia contro. E, secondo me, proprio mentre è nella zona più grigiosamente appestata da nubi, ben lontano dalla salvezza, con la maglietta completamente zuppa d'acqua e di guai, Andy prende la macchina fotografica dalla custodia impermeabile e, con l'iride nell'obiettivo, aspetta quatto quatto il tuono. E aspetta il lampo e aspetta la meraviglia e chissa chi e cos'altro. Intanto bagliori di sommosse gli illuminano gli occhi e accusano violenti il suo lungo indugiare. Ma- attenzione- nell'istante in cui il fulmine sguizza via dal cumulonembo,  lungo e veloce come un'anguilla,  il vecchio Andy preme il pulsante di scatto, clic e fine della storia. 
Quelle volte che piove e basta, senza bagliori né niente, io non riesco proprio a immaginare dove trovi il coraggio per non mollare tutto e cambiare hobby, senza perdere altro tempo a bagnarsi sotto l'acquazzone come i poveri cristi, ma probabilmente non ho capito il senso del suo inseguire, che la mia mente legge come sinonimo di cercare e magari invece no, non è lo stesso. O forse il bello per lui è soltanto farla franca. Un'altra volta e diecimila altre scappare a gambe levate con una foto appesa al collo e neanche un elettroshock.

15/07/17

Maracas

divagazioni di Cristina Taliento

L'immagine può contenere: 1 persona, cielo e spazio all'aperto
(Hans Baluschek, Großstadtwinkel, 1929 © Stadtmuseum Berlin)


C'è uno scrittore mio amico che ha buttato tutta la sua produzione letteraria in strada, specie nelle sere d'estate. Intendo che ha scritto per lo più cronache urbane o momenti, attimi dalla bassa visuale che si ha stando seduti su un marciapiede parlando del più e del meno con qualcuno incontrato per caso sulle note di un suonatore jazz pochi palazzi più avanti. 
Ogni tanto lo vado a trovare, cioè entro nella sua letteratura, nel suo suono di vita e gli chiedo se c'è da far qualcosa, se posso restare. Lo scrittore amico allora mi apre la porta della sua estiva città notturna che non è come la vedo io, ma proprio come la narra lui e io divento ospite della sua personale visione, mi lascio guidare da quel suo modo di camminare nella sera, che poi è anche il suo modo di scrivere e tutto quanto.
La sua città è un po' diversa dalla mia. Io tendo a inserire fiumi, corsi d'acqua, anche dove non ci sono. Per lui non ha importanza: il fiume sono le persone, le loro voci, i vestiti che scelgono per sentirsi come si sentono, i loro pensieri, le smorfie. Talvolta gli dico per scherzare che la sua è 'letteratura da barboni' , dove la vita scorre come all'interno di un sacco a pelo nella moltitudine dei passanti. Lui si ferma, ci riflette su e dice che si, effettivamente è così, gli piace. Allora, senza la paura di spaventarlo, gli chiedo se sia più giusto per uno scrittore stare dentro o stare fuori, se la sua non sia una strana forma di emarginazione e come si sente a riguardo. Ride, dice che alla fine è solo una questione di posti, individuare quelli dove le dita battono sulla tastiera come pioggia, quei posti della mente che sono anche anima e pane, terra di casa, rifugio e mare aperto, dove sei, non puoi che Essere, anche se magari non possiedi niente al di fuori degli abiti che hai addosso e della tua pace. 

Per farmi capire meglio mi porta sul piazzale più alto della città per respirare le luci che lasciano il passo alle stelle. Potrebbe essere Piazzale Michelangelo o Trinità dei Monti, non lo so, si vedono delle cupole e dei campanili. C'è un venditore di palloncini, delle famiglie che parlano, dei ragazzi che si baciano. Lui mi indica un'orchestra di contralti e violini. Dice che li conosce, sono suoi amici. Non mi meraviglia, siccome questo è il suo Racconto e le figure al suo interno non sono che parte della sua immaginazione. Ci avviciniamo.
I musicisti fanno segno di unirci a loro. Alzo le spalle, non so suonare. Così l'amico scrittore prende una maracas dal bagaglio della loro macchina, mi dice 'tieni' , mentre lui si siede al pianoforte. Cerco in tutti i modi di divincolarmi, però non è difficile tenere il tempo, il suo Tempo, abbracciati come siamo dalla calura di luglio, illuminati dai bagliori di sconosciute costellazioni, presenti e vagamente assenti in questa rumorosa sgangherata orchestra spettacolare.